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Le mie estati

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mitografia del quotidiano

Le mie estati

Posted on 23/08/2017 at 11:32 by Alberto Terrile / 0

 

Finita la scuola, mio Papà portava me e mia sorella in Emilia con la nonna Alberta. Trascorrevo ai Guaiumi tre mesi, Giugno , Luglio e Agosto. Mia madre a luglio era solita raggiungerci mentre mio Padre saliva d’ Agosto.

Era davvero un altro tempo per noi bambini che non potevamo aver consapevolezza di quei problemi che assillavano i grandi: il mutuo della casa, l’assicurazione che scadrà, l’esito dell’ecografia del nonno, la crisi del petrolio e le domeniche d’austerity.

Il nostro mondo ruotava attorno alla radio della nonna che dal davanzale della cucina trasmetteva musica leggera. Le giornate erano scandite dai giochi all’aria aperta, dalle merende e dai compiti delle vacanze. Una delle cose che mi accomunavano agli altri era il cercare di evitare i compiti delle vacanze, mentre mi distinguevo per una sfrenata fantasia e il dono di far ridere gli altri con buffe storielle.

Era davvero un altro tempo per noi bambini che non avevamo internet.

Eravamo liberi di giocare all’aria aperta brandendo in mano spade di legno costruite con due legni. Tutto ciò che inventavamo attingeva all’ immaginario e all’inconscio come fosse il tesoro nascosto in una vecchia soffitta, o sepolto all’ombra di un castagno.

Con le briciole di pane strette in pugno davamo da mangiare agli uccellini nella speranza di poterli vedere più da vicino.

Le estati erano un viavai di parenti, zie e cugini da ogni parte. Erano cocomeri tagliati a metà che venivano abbracciati gridando :- Mioooooo

Miooooooooo disse il bambino….

Miooooooooo disse la sua mamma…

Con i fiori creavamo ghirlande e corone, pisciavamo all’aria aperta dietro gli alberi sui quali avevamo costruito una capanna, alternavamo il gioco del nascondino a terribili battaglie con gli sputi.

Estate 2017

Mi verso un altro bicchiere d’acqua seduto al tavolaccio, mia nonna Alberta aveva sempre pronte delle bottiglie (acqua e vino) da offrire a chi veniva a falciare l’erba.

Estate 2017

Alzo lo sguardo al cielo e accompagnato da un live sospiro le sorrido.

Era davvero un altro tempo per noi bambini che gridavamo di gioia perché era estate.

Oggi il silenzio è riuscito ad accerchiarmi, oggi ha vinto lui !

 

 

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Cara Virginia, sono felice di averti laureato l'al Cara Virginia,
sono felice di averti laureato l'altra mattina.
La tesi sull'intima malinconia l'ho intesa come un piccolo reportage dell' Anima.
Dobbiamo sempre guardare oltre l'immagine, oltre la parola " oltre noi stessi".
 
Quando il tuo relatore, prof Andrea Botto ha detto d'averti consigliato la visione del film  Lisbon Story di Wim Wenders con Rudiger Vogler ho fatto un volo a ritroso.
 
Successe che Invitai l'attore a Genova neppure un anno dopo aver girato quel film di Wim. Trascorremmo un pomeriggio assieme parlando di Cinema mentre scattavamo delle fotografie che avevo in mente.
 
"Vorrei che lei interpretasse per me "il fotografo" una figura  che , prima di tutto ,vede le cose del mondo.
Fu bello sentirsi dire :- Perché  non ha scelto di fare il regista? Lei sa far capire molto bene a un attore cosa  deve metter in scena.
 
L'altra mattina, nell'afa dell'aula 5H mentre mostravi la tua tesi io sono ritornato a un altro Aberto, quello  che  aveva esposto a Berlino nel 1995,  quello che frequentava Wim e Donata Wenders e che sperava di dimostrare alla gente il valore delle sue immagini.
 
Non so cosa vorrai fare nella vita, qualunque cosa sia, falla con amore.
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ORA ET LABORA Siatene pur certi, figli miei: qual ORA ET LABORA

Siatene pur certi, figli miei: qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio. Dovete invece comprendere adesso — con una luce tutta nuova — che Dio vi chiama per servirlo "nei" compiti e "attraverso" i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un'università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno.
Sappiatelo bene: c'è "un qualcosa" di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire. A quegli universitari e a quegli operai che mi seguivano verso gli anni trenta, io solevo dire che dovevano saper "materializzare" la vita spirituale. Volevo allontanarli in questo modo dalla tentazione — così frequente allora, e anche oggi — di condurre una specie di doppia vita: da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall'altra, come una cosa diversa e separata, la vita famigliare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene. No, figli miei! Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che dev'essere — nell'anima e nel corpo — santa e piena di Dio: questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali. Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai.
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