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Varie

Posted on 22/12/2004 at 21:24 by Alberto Terrile / 3 Comments

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xmas Time con W.Burroughs…

Per quanti non sopportano più C.Dickens, questo breve racconto di W.Burroughs da INTERZONA per raccontare un Natale un pò diverso ……..

IL NATALE
DEL TOSSICOMANE

Era il giorno di Natale e Danny il Lavamacchine usci
in strada senza un soldo e in crisi di astinenza dopo set-
tantadue ore nella guardina del commissariato. Era una
bella giornata limpida, ma non c’era calore nel sole.
Danny rabbrividiva di un freddo interiore. Tiró su il
bavero del suo soprabito nero, liscio e unto.
Questa palandrana, non mi darebbero neanche una
moneta a impegnarla, pensó.
Era verso la Novantesima Strada West. Un lungo iso-
lato di pensioni dalla facciata di pietra scura. Qua e lá
una ghirlanda in una finestra nera e pulita. 1 sensi di
Danny registravano tutto nitidamente con la dolorosa
intensitá dell’astinenza. La luce gli feriva gli occhi di-
latati.
Passó di fianco a una macchina, e lanció uno sguar-
do furtivo dei suoi occhi azzurro pallido in una rapida
valutazione. C’era un pacco sul sedile, e uno dei deflet-
tori non era chiuso; Danny continuó a camminare per
qualche metro. Nessuno in vista. Fece schioccare le di-
ta ed esegui una pantomima come di chi si ricordi di
qualcosa, e giró su se stesso. Nessuno.
Brutto posto, decise. Con la strada cosí vuota, io dó
nell’occhio. Devo fare in fretta.
Allungó una mano verso il deflettore. Una porta si
apri dietro di lui. Danny tiró fuori in fretta uno strac-
cio e si mise a lustrare il parabrezza della macchina. Po-
teva sentire l’uomo in piedi dietro di lui.
«Cosa stai facendo?».
Danny si voltó con l’aria sorpresa. «Mi sembrava sol-
tanto che i vetri della sua macchina avessero bisogno
di una pulitina, signore».
L’uomo aveva la faccia da rana e un accento del Pro-
fondo Sud. Portava un cappotto di cammello.
«La mia macchina non ha bisogno di nessuna puliti-
na e nemmeno di nessuna rubatina».
Danny si scansó quando l’uomo fece per afferrarlo.
«Non stavo cercando di rubare niente, signore. Sono
del Sud anch’io. Florida…».
«Dannatissimo ladro infingardo!».
Danny filó via in fretta e voltó l’angolo.
Meglio uscire dalla zona. Quel cafone éprobabile che
chiamí la polizia.
Camminó per quindici isolati. II sudore gli scorreva
giú per il corpo. Aveva un dolore aspro nei polmoni.
Le labbra gli si stiravano sui denti gialli in un ringhio
di disperazione.
Devo trovare una dose in un modo o nell’altro. Se
avessi dei vestiti decenti….
Danny vide una valigia appoggiata sotto un porto-
ne. Pelle buona. Si fermó e finse di cercare una sigaretta.
Strano, pensó. Nessuno in vista. Forse dentro, che
telefona a un taxi.
L’angolo era a poche porte di distanza. Danny re-
spiró a fondo e prese su la valigia. Arrivó all’angolo.
Un altro isolato, un altro angolo. La valigia era pesante.
Qui ho fatto un bel colpo, pensó. Magari abbastanza
per una doseforte e una camera. Danny rabbrividi
e sussultó, sentendo una camera calda e l’eroina che gli
si riversava nelle vene. Diamo un’occhiata.
Entró nel Morningside Park. Non si vedeva nessuno.
Gesu, non ho mai visto la cittá cosi vuota.
Apri la valigia. Due lunghi pacchi in carta marrone
da involti. Ne tiró fuori uno. Al tatto sembrava carne.
Apri l’involto a una estremitá, scoprendo un piede nu-
do di donna. Le unghie erano dipinte di lacca porpora.
Lasció cadere la gamba con un verso di disgusto.
«Gesú Cristo!», esclamó. «Che storie mette insieme
la gente al giorno d’oggi. Gambe! Be’, ad ogni modo
ho trovato una valigia». Buttó via l’altra gamba. Nes-
suna macchia di sangue. Chiuse la valigia e se ne andó.
«Gambe!», borbottó.
Trovó il Compratore seduto ad un tavolo alla Jar-
row’s Cafeteria.
«Credevo che facessi vacanza», disse Danny, metten-
do giú la valigia.
II Compratore scosse la testa con aria triste. «Non
ho nessuno. Cosa me ne importa del Natale?». 1 suoi
occhi scorrevano sulla valigia, tastando, tentando, cer-
cando difetti. «Cosa c’era dentro?».
«Niente».
«Cosa succede? Non pago abbastanza?».
«Ti dico che non c’era niente».
«Okay. Allora qualcuno viaggia con la valigia vuo-
ta. Okay». Tenne su tre dita.
«Per l’amor di Dio, Gimpy, dammi una moneta da
cinque».
«Tu hai qualcuno. Perché non te la dá lui la moneta
da cinque?».
«Te l’ho detto, la valigia era vuota».
Gimpy diede un calcio alla valigia con noncuran-
za. «É tutta raggrinzita e sa di sporco». Annusó con
sospetto. «Com’é che puzza cosi? Cuoio messica-
no?».
«Okay». Danny prese i soldi. «Hai visto George il
Greco?», chiese.
«Dove sei stato? L’hanno arrestato due giorni ta».
«Oh… Peccato».
Danny usci. Adesso da chi posso andare? pensava.
George il Greco era durato tanto che Danny pensava
a lui come a qualcosa di eterno. Era buona eroina, poi,
e non tagliata.

Danny arrivó fino all’angolo della 103a a Broadway.
Da Jarrow’s non c’era nessuno. Nessuno all’Automat.
«Giá», ringhió. «Tutti gli sp^cciatori stanno a fare
un pisolino da qualche parte. Cosa gliene frega degli
altri? Gli basta essersi fatta la loro dose. Cosa gliene

frega di un drogato che sta male?».
Si puli il naso con il dito, guardandosi in giro furti-
vamente. .
Non conviene andare da quei brutti tipi di Harlem.
Come niente mi danno un sacco di botte per i soldi op-
pure mi danno del veleno da topi. Forse trovo Panto-
pon Rose tra l’Ottava e la Ventitreesima.
Non c’era nessuno che conoscesse da Thompson sul-
la Ventitreesima.
Gesú, pensó. Dove sono tutti?
Si teneva stretto il bavero del soprabito con una ma-
no, mentre guardava su e giú per la strada. Quello é
Joey di Brooklyn. Riconoscerei quel cappello dovunque.
«Joey. Ehi, Joey!».
Joey si allontanava, con la schiena rivolta a Danny.
Si voltó. II volto era tirato, come un teschio. Gli occhi
grigi scintillavano sotto un feltro grigio bisunto. Joey
tirava su col naso a intervalli regolari e gli lacrimavano
gli occhi.
Non c’é nemmeno da’chiedere, pensó Danny. Si guar-
darono a vicenda ,con l’odio della delusione.
«Forse hai sentito di George il Greco», disse Danny.
«Giá. Ho sentito. Sei stato su alla 103″?».
«Si. Vengo da li. Non c’é nessuno».
«Non c’é nessuno in nessun posto», disse Joey. «Non
riesco nemmeno a trovare le goofballs».1
«Be’, buon Natale, Joey. Ci vediamo».
«Giá. Ci vediamo».
Danny stava camminando svelto. Si era ricordato di
un medico nella Diciottesima Strada. É vero che il dot-
tore gli aveva detto di non tornare. Peró, valeva la pe-
na provare.
Una casa dalla facciata scura con un cartello a una
finestra: P. H. Zunniga, M. D. Danny suonó il campa-
nello. Senti dei passi lenti. La porta si apri, e il dottore
guardó Danny con gli occm scuri iniettati di sangue. Va-
cillava leggermente e appoggiava il corpo grassoccio allo
stipite della porta. Aveva una faccia liscia, di tipo lati-
no, boccuccia rossa e debole. Non disse niente. Stava
lá appoggiato, e guardava Danny.
Maledetto alcolizzato, pensó Danny. Sorrise.
«Buon Natale, dottore».
II medico non rispose.
«Si ricorda di me, dottore?». Danny cercó di infilar-
si oltre il dottore, nella casa. «Mi dispiace di importu-
narla il giomo di Natale, ma ho avuto un altro attacco».
«Attacco?».
«Si. Nevralgia facciale». Danny contorse un lato della
faccia in una smorfia orribile. II dottore si ritrasse leg-
germente, e Danny si spinse nell’anticamera buia.
«Meglio chiudere la porta o si prenderá un raffred-
dore», disse in tono gioviale, spingendo la porta.
II dottore lo guardava, gli occhi gli si mettevano visi-
bilmente a fuoco. «Non posso farle nessuna ricetta»,
disse.
«Ma, dottore, questa é una situazione legittima. Un’e-
mergenza, sa».
«Niente ricette. Impossibile. É contro la legge».
«Lei ha fatto un giuramento, dottore. Sonó in ago-
nia». La voce di Danny sali fino a un lamento strazian-
te e isterico.
II medico chiuse gli occhi e si passó una mano sulla
fronte.
«Mi faccia pensare. Le posso dare una_tavoletta da
un quarto di grano. É tutto quello che ho in casa».
«Ma, dottore… un quarto di…».
II medico lo interruppe. «Se la sua condizione é le-
gittima, di piú non le serve. Se non lo é, io non voglio
aver niente a che fare con lei. Aspetti qui».
Si allontanó barcollando giú per il corridoio, lascian-
do una scia di fiato all’alcool. Tornó e fece cadere una
tavoletta nella mano di Danny. Danny la avvolse in un
pezzetto di carta e la mise via.
«É gratis». II dottore mise la mano sulla maniglia.
«E adesso, mio caro…».
«Ma, dottore… non me la puó iniettare?».
«No. Avrá un effetto piú lungo se la userá per via
orale. Per favore non torni piú». II dottore apri la porta.
Be’, questo servirá a qualcosa, e ho ancora isoldiper
una stanza, pensó Danny.
Conosceva un drugstore che vendeva aghi senza far
domande. Compró un ago da insulina numero 26 e un
contagocce, che scelse con cura, scartando i modelli di
forma curva o con la punta grossa. Alla fine prese una
cosa per bambini, da usare al posto del poppatoio. Si
fermó all’Automat e rubó un cucchiaino da té.
Danny spese due dollari per una stanza da sei dollari
la settimana nella zona della 40a West, dove conosceva
il padrone. Chiuse a chiave la porta e mise il suo cuc-
chiaio, l’ago e il contagocce su un tavolino vicino al let-
to. Mise la tavoletta nel cucchiaino e la ricopri con il
contenuto del contagocce in acqua. Tenne un fíammi-
fero sotto il cucchiaino fínché la tavoletta si sciolse.
Strappó una strisciolina di carta, la bagnó e l’avvolse
intorno all’estremitá del contagocce, adattando l’ago
alla carta bagnata in modo che tenesse ermeticamente.
Prese un po’ di lanugine dalla propria tasca e la mise
nel cucchiaino e succhió il liquido nel contagocce at-
traverso l’ago, tenendo l’ago sulla lanugine in modo da
tirar su fino all’ultima goccia.
Le mani di Danny tremavano di eccitazione e il re-
spiro gli si accelerava. Con una dose davanti a lui, le
sue difese cedevano, e i sintomi dell’astinenza gli inva-
devano il corpo. Le gambe cominciarono a scuotersi e
a dolergli. Un crampo gli si agitó nello stomaco. Le la-
crime gli scorrevano giú per il volto dagli occhi secchi,
brucianti. Si avvolse un fazzoletto intorno al braccio
destro, e ne tenne un capo tra i denti. Annodó il fazzo-
letto, e cominció a strofinare il braccio per trovare una
vena.
Forse posso bucare questa, pensó, scorrendo un dito
lungo una vena. Prese il contagocce con la mano sinistra.
Udi un lamento provenire dalla stanza accanto. Fece
una faccia infastidita. Un altro lamento. Non poteva
non ascoltare. Si mosse attraverso la stanza, con il con-
tagocce in mano, e tese l’orecchio verso la parete. 1 la-
menti venivano a intervalli regolari, un orribile suono
inumano spinto fuori dallo stomaco.
Danny ascoltó per un minuto intero. Tornó al letto
e si sedette. Perché nessuno chiama un dottore? pensó
indignato. É una bella noia. Tese il braccio e tenne l’a-
go pronto. Inclinó la testa, ancora in ascolto.
Oh, Cristo santo! Si tolse il fazzoletto e mise il con-
tagocce in un bicchiere, che nascose dietro il cestino dei
rifiuti. Usci sul corridoio e bussó alla porta della stan-
za accanto. Non venne risposta. 1 lamenti continuava-
no. Danny provó la maniglia. Era aperto.
Gli scuri erano aperti e la stanza era piena di luce.
Si era aspettato qualcuno di vecchio, ma l’uomo sul letto
era molto giovane, sui diciotto o vent’anni, completa-
mente vestito e rannicchiato sul letto con le mani stret-
te sullo stomaco.
«Cosa c’é, ragazzo?», chiese Danny.
II ragazzo lo guardó, con gli occhi vacui dal dolore.
Alla fine fece uscire una parola: «Reni».
«Calcoli renali?». Danny sornse. «Non é che ci tro-
vi niente di divertente, ragazzo. É solo che… io ho fin-
to di averli tante volte. Non avevo mai visto la cosa dal
vivo. Chiamo un’ambulanza».
II ragazzo si morse il labbro. «Non vengono. 1 dot-
tori non vengono». II ragazzo nascose la faccia nel cu-
scino.
Danny annui. «Credono che tu sia soltanto un dro-
gato che fa la scena per una dose. Ma il tuo caso é le-
gittimo. Forse se andassi io all’ospedale e spiegassi co-
me stanno le cose… No, non credo che andrebbe».
«Non abito qui», disse il ragazzo, con voce attutita.
«Dicono che non ne ho diritto».
«Si, lo so come sono, i bastardi burocratí. Avevo un
amico, che é morto per il morso di un serpente proprio
in sala d’attesa. Non gli hanno dato nemmeno ascolto
quando ha cercato di spiegare che un serpente lo aveva
morso. Non ha mai avuto faccia tosta. É successo quin-
dici anni fa, giú a Jacksonville…».
La voce di Danny si spense. Di colpo tese la sua ma-
gra mano sporca e toccó il ragazzo sulla spalla.
«lo… mi dispiace, ragazzo. Aspetta qui. Faccio qual-
cosa».
Andó ne
lla sua stanza e prese il contagocce, e ritor-
nó nella stanza del ragazzo.
«Tirati su la manica, ragazzo». II ragazzo anna-
spava con la debole mano sulla manica della sua
giacca.
«Va bene. Lascia fare a me». Danny slacció il botto-
ne della camicia al polso e tiró su camicia e giacca, sco-
prendo un sottile avambraccio bruno. Danny esitava,
guardando il contagocce. II sudore gli colava giú per
il naso. II ragazzo lo stava guardando. Danny spinse
l’ago nell’avambraccio del ragazzo e guardó il liquido
entrare nella carne. Si rialzó.
La faccia del ragazzo cominció a rilassarsi. Si alzó
a sedere e sorrise.
«Di, quella roba funziona davvero», disse. «Lei é un
dottore, mister?».
«No, ragazzo».
II ragazzo si rilassó, stirandosi. «Ho proprio sonno.
Non ho dormito per tutta la notte scorsa». Gli occhi
gli si chiudevano.
Danny attraversó la stanza e chiuse gli scuri. Tornó
nella sua stanza e chiuse la porta ma senza girare la chia-
ve. Si sedette sul letto, e rimase a guardare il contagoc-
ce vuoto. Fuori si stava facendo scuro. II corpo di Danny
soffriva per l’astinenza, ma era un dolore sordo ades-
so, sordo e disperato. Rigidamente, staccó l’ago del con-
tagocce e lo awolse in un pezzo di carta. Poi avvolse
insieme ago e contagocce. Rimase li seduto con il pac-
chetto in mano. Devo metterlo via in qualche posto,
pensó.
Improwisamente un’ondata calda gli pulsó attraverso
le vene e gli arrivó alla testa come un migliaio di
speedballs dorate.
Cristo Santo, pensó Danny. Deve essermi capitata la
dose immacolata
La serenitá vegetale della droga si adagió nei suoi tes-
suti. II volto gli si rilassó, in pace, e la testa gli ricadde
in avanti.
Danny il Lavamacchine era fatto.















































































































































































































































































































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3 Comments

  • utente anonimo

    23/12/2004 - 14:49

    …sei sempre il solito…terrile!
    PS: prendilo come un complimento..

    Luca

    Reply to comment
  • utente anonimo

    14/01/2005 - 00:25

    potevi tradurlo un po’ meglio… non credo che questo capolavori meriti questo maltrattamento

    Reply to comment
  • albertoterrile

    15/01/2005 - 20:50

    …figlioli, la traduzione….accontentatevi di come lo avevo, altrimenti cercate il volume della Sugar se è ancora in commercio e mandate così qualche euro agli eredi dell’autore…..quando qualcosa è gratis la si prende come è…..come una foto a 72 dpi sul web invece che una stampa originale ai sali d’argento…. GOD BLESS YOU!!!

    Reply to comment

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GIANNI MAROCCOLO (Manciano, 9 maggio 1960) è un GIANNI MAROCCOLO
 
(Manciano, 9 maggio 1960) è un bassista e produttore discografico italiano.
 
Nella sua carriera quarantennale, prevalentemente nel ruolo di bassista, ha suonato e collaborato con svariati artisti del panorama italiano ed internazionale, come produttore artistico e scopritore di talenti.
 
https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Maroccolo
 
Immagini del 19/05/2016
 
 
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ALESSANDRO HABER Dal mio archivio, Venezia 1994 o ALESSANDRO HABER

Dal mio archivio, Venezia 1994 o 1995…non ricordo bene ma non sempre annoto le cose e la pellicola non è soggetta ai metadati…funzionava così una volta…
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In bio trovate il link per vedere foto e filmati d In bio trovate il link per vedere foto e filmati della giornata di cui racconto…

AL DI LA' DELLA CATTEDRA
 
 
Nel 2009 scrissi questo testo in cui esplicitavo alcune mie idee didattiche.
Feci parecchi workshop in natura tenendo fede a quanto avevo scritto, parola per parola.
 
Una volta passato all'insegnamento istituzionale ho mantenuto l'atteggiamento di chi , inclusivo per eccellenza, cercava il dialogo con la classe e i singoli componenti per capire chi aveva innanzi.
 
Con circa 120 studenti l'anno non è semplice ricordare i nomi sia italiani che stranieri ma faccio del mio meglio.
 
Ieri esercitandoci a fermare il movimento abbiamo lanciato per aria vestiti e ho chiesto " a proposito del punto di visuale" di sdraiarsi tutti per terra per fotografare dal basso verso l'alto ciò che accadeva in una maestosa cattedrale formata da un salice.
 
Ho chiesto e non ho ordinato, sono stato il primo a sdraiarmi per saggiare il terreno e mostrare come avrebbero dovuto fare...
 
In questo post ho messo l quindi volutamente e foto dei GONG in un prato perchè anche a loro penso quando lavoro così, in modalità anarchica e di totale improvvisazione.
 
Non posso dimenticare la gioia d'aver trascorso con la band in formazione originale ( alla chitarra anche Steve Hillage) una bella giornata estiva di parecchi anni fa...pertanto chiudo la cosa con tre foto del loro leader Daevid Allen
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ESAMI …NO PANIC🙏PLEASE! #albertoterrile #esam ESAMI …NO PANIC🙏PLEASE!
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IERI Ieri, con la classe del triennio, dovev IERI
 
 
 
Ieri, con la classe del triennio, dovevamo fotografare in esterno ma un temporale improvviso cambiò il nostro piano...
 
Poesia, la leggerezza del sorriso d'insegnante e un filo di contemplazione , portarono in fondo al corridoio la nostra piccola esercitazione...

Ha posato Valentina Malagugini

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